Uche Agbo, il “lottatore scalzo”: dai campi in terra della Nigeria alla Liga

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La storia di Uche Agbo è stata raccontata dal suo club, il Granada, che lo ha fatto esordire in Liga dopo una vita e un inizio di carriera difficili. Per il 21enne difensore nigeriano tutto ha origine sui campi di terra dove gioca scalzo, poi il Mondiale Under 20, la scoperta dell’Udinese e la malaria. Fino a realizzare il sogno diventando calciatore professionista con tanto di un posto fisso nel campionato spagnolo.

Se vai in Africa c’è una cosa che ti resta impressa in modo particolare: la polvere. E i piedi nudi dei bambini, dei ragazzini che scorrazzano sulla terra rossa coi loro sorrisi e le loro speranze. Oltre che con la loro composta malinconia. Scalzo lo era anche Uche Agbo che ha realizzato il sogno di diventare un calciatore professionista partendo proprio da lì, dalla polvere e dalla mancanza di scarpe. Quello che oggi è il difensore titolare del Granada è un 21enne con l’Africa nel cuore che in Nigeria, e nella sua città natale Kano, ci è ritornato davvero per raccontare la sua storia fin dalle origini, come mostra una video intervista realizzata dal club spagnolo e pubblicata sulle pagine social della squadra.

“I miei genitori volevano che studiassi ma io mi inventavo qualsiasi cosa per riuscire a giocare a calcio” racconta Uchte, con indosso una maglietta nera, jeans alla moda ma nessuna scarpa: sì, mentre si racconta è di nuovo scalzo e con in mano un vecchio e consumato pallone. I primi allenamenti li ha nascosti al padre con la complicità di un professore, fino a quando arriva la convocazione per un torneo in cui era chiamato a rappresentare lo Stato di Kano: “Lo Stato patrocinò la nostra squadra e ci fornì scarpini, calzettoni e tutto quello di cui avevamo bisogno. Una volta al torneo, almeno 8 o 10 giocatori della squadra non avevano mai giocato con degli scarpini e adattarsi fu difficile. Disputammo tre partire e le perdemmo tutte, semplicemente non eravamo abituati”. Ma Uche aveva un talento diverso e infatti fu notato da un agente dell’Enyimba, importante squadra nigeriana.

Nel 2013 arriva l’occasione della vita, il Mondiale Under 20: la concorrenza è tanta e Uche gioca pochissimo. In realtà la vera svolta era arrivata prima del ritiro con la Nazionale, durante un torneo a Tolosa dove a osservarlo con un occhio di riguardo c’era un osservatore italiano, di un club che spesso scopre giovani talenti in giro per il mondo: l’Udinese. E proprio con il club bianconero arriva la firma su un vero e proprio contratto anche se il suo Eldorado non sarà l’Italia. Nel 2014, infatti, viene girato in prestito a un club i cui proprietari sono i medesimi dell’Udinese: la famiglia Pozzo che controlla, appunto, anche il Granada. Ed è qui che la favola del difensore partito dalla Nigeria prende forma anche se le difficoltà sono tante e ancora inimmaginabili. Prima viene mandato a giocare con la squadra Primavera, per adattarsi a un tipo di calcio che non conosceva, poi, nel momento del grande salto in prima squadra, la scoperta di aver contratto la malaria con conseguente ritorno in Africa e ricovero in ospedale.

La fede e la sua forza di volontà, come ammette, lo aiutarono in quel momento: “Anche quando mi trovavo in ospedale, ero convinto che ce l’avrei fatta. Mi ripetevo sempre: non ti preoccupare, riuscirai a ottenere quello che ti sei prefissato”. E così fu: la prima squadra lo chiamò per un paio di partite, poi di nuovo la Primavera e, alla fine, l’esordio in Liga, il 23 febbraio 2015 contro il Valencia. Quest’anno Uche Agbo, che è rimasto in prestito al Granada nonostante il passaggio di cartellino al Watford, ha già collezionato 12 presenze, di cui 11 da titolare, e continua a lottare con forza, assieme al suo club che cerca di evitare la retrocessione. Del resto lui è il “lottatore scalzo”, come lo ha definito la società andalusa. Uno a cui il primo paio di scarpini fu regalato da un allenatore: “Questo mi diede coraggio perché vide qualcosa di buono in me e mi disse: tienili con te e continua ad allenarti”. Scalzo e coraggioso. Abituato a combattere. E alla fine, persino a vincere.

Fonte: Tgcom24

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